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al testo di Gerardo Dani
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Il dottore afferma che non basta una pillola: la cura dev’essere prolungata per rispondere a domande in buona salute. “Morirò, dottore?” In coscienza, i monosillabi sono irricevibili, anche se somministrati come acini di sale iodato. La loquacità rassicura, soprattutto se la diagnosi è di per sè ipertensiva; dice anche: “Serve ridurre la vita. Il suo giro preoccupa perché imbocca la notte e la notte brucia i grassi come quarti di manzo.” Mi ricorda che devo respirare salsedine per prendere iodio a mani nude come la luna che si tira addosso l’alta marea per farlo nello stesso verso del delfino che appare dopo. Sebbene dentro di te una selva di paure sia cresciuta, il timore prende una strada già battuta con un filo di voce: “Morirò, dottore?” Poni questa domanda pleonastica e ti rispondono due polpastrelli che giocano a tamburello sulle tue spalle e fanno del medico un delfino da acquario. L’udito scopre il fischio e la cura: “Morirò, dottore?” “Come inizio non c’è male.”
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